Colloquio di Selezione


Questo argomento è, a mio avviso, il più complesso poichè non è possibile stabilire una serie di regole o delle istruzioni valide per tutti per affrontare brillantemente il colloquio di selezione in quanto
le variabili in gioco sono davvero molte e per lo più imprevedibili : le personalità dell’intervistatore e del candidato, che interagiscono con dinamiche sia consce che inconsce, la preparazione professionale e le capacità comunicative di entrambi, variabili situazionali mutevoli e impreviste come il particolare momento e lo stato d’animo, gli impegni e i bisogni attuali, le aspettative che ciascuno nutre nei confronti dell’altro, il mercato del lavoro attuale, ecc. 

Innanzitutto definiamo cos’è il COLLOQUIO DI SELEZIONE :
è l’occasione in cui
azienda e candidato valutano l’interesse reciproco

E’ l’uomo giusto al posto giusto?”, pensa l’azienda, mentre cerca di stabilirne le caratteristiche personali e professionali, le capacità, la motivazione, le aspettative e soprattutto le potenzialità
Il candidato, a sua volta, si chiede “
E’ l’azienda e il posto che fanno per me?” cercando di coglierne gli aspetti organizzativi e le possibilità di sviluppo che l’azienda può offrirgli.

La situazione ideale avviene quando gli interessi di entrambi e le reciproche aspettative si incontrano armoniosamente: l’azienda, da un lato, ritiene che quel candidato possegga le capacità in grado di soddisfare le sue esigenze svolgendo i compiti che gli verranno assegnati, dall’altro il candidato sente che potrà esprimere al meglio le sue competenze in quella posizione e che l’azienda ne riconoscerà i meriti favorendo il suo sviluppo. 

Purtroppo accade spesso che non si riesca ad essere chiari e sinceri nell’esplicitare le proprie richieste: l’azienda non scopre le sue carte (ad es. quanto è disposta a pagare il collaboratore, se sono previste possibilità di sviluppo, la presenza di eventuali problemi organizzativi o di relazione interni, ecc.) e il candidato teme spesso di esprimersi in quanto vive come prioritario il bisogno di trovare “un“ lavoro e la situazione di precarietà lo persuade a non chiedere nulla. 

L’errore che l’azienda teme maggiormente è quello di scegliere un candidato che poi rivela di non possedere le caratteristiche necessarie (sottoqualificato) ma, per ovviare a questo, ricade nell’errore opposto: scegliere un candidato le cui potenzialità non verranno mai espresse (sovraqualificato) e che vivrà presto una situazione di insoddisfazione magari abbandonando l’azienda alla prima occasione. 

L’errore che invece teme solitamente il candidato è quello di non essere scelto (esperienza vissuta come un rifiuto umiliante – che risveglia antichi complessi di inferiorità rendendolo insicuro) o di fare “brutta impressione“ (lo stato d’animo che vivrà durante il colloquio è la diretta conseguenza di questa ansia da prestazione), dimenticando di restare concentrato nel “qui ed ora” e di osservare attentamente ciò che accade (non riuscendo in questo modo a valutare con obiettività l’azienda e la posizione offerta).

Quindi, nel corso del colloquio occorre chiederci:
Qual’è il mio obiettivo? Quella posizione mi interessa? Come valuto questa azienda?
Se è vero che pur di lavorare siamo disposti ad accettare molti compromessi, è altrettanto vero che molti lavoratori sono insoddisfatti del lavoro che fanno! Se possibile evitiamo di allungare quella lista.

Nel processo di selezione sono presenti 3 momenti distinti:

Il prima – i cui elementi sono le idee e le teorie che l’intervistatore si è fatto sul candidato leggendo il suo curriculum, confrontandolo con il profilo del suo candidato “ideale“,  le aspettative che il candidato ha riguardo quel lavoro e i suoi bisogni

Il durante – costituito dal colloquio vero e proprio

Il dopo – comprende le riflessioni che l’intervistatore farà sull’incontro concluso, ripensando e interpretando alcuni momenti per “aggiustare“ sensazioni e convinzioni sul candidato e il confronto tra tutti i candidati che ha incontrato per stabilire la sua scelta 

Vediamo come affrontare la paura più grande, quella di fare “brutta figura“.
La prima impressione è quella che conta. Non sono parole che ci piace sentire ma questo corrisponde al vero.
Tutti noi, quando incontriamo qualcuno, ci facciamo ad istinto un’opinione su questa persona, che non riusciamo a spiegare (e se ci viene chiesto di farlo ricorriamo a giustificazioni che poco hanno di razionale e logico)
A maggior ragione il selezionatore tenderà a verificare quella che è stata la sua prima impressione (purtroppo raramente si cerca di invalidarla – errore dello sperimentatore) dando maggiore peso agli elementi che possono confermare i suoi pregiudizi.
Per questo motivo l’inizio del colloquio rappresenta il momento cruciale del processo di selezione, in cui ci si gioca davvero molto 

Le precauzioni che dobbiamo avere per non pregiudicare il colloquio sono senza dubbio le fondamenta che reggeranno l’idea che daremo di noi stessi:

  • La puntualità in primis – che non ammette scuse: 5 minuti di anticipo sono doverosi, che possono voler dire arrivare mezz’ora prima perchè non conosciamo la strada, se ci sono parcheggi vicini, ecc. e attendere all’esterno fino ai fatidici 5 minuti prima dell’incontro stabilito; qui viene valutata la nostra capacità di organizzazione e di pianificazione, la responsabilità e l’affidabilità.
    In caso di imprevisto (come ad es. un incidente in autostrada che ha bloccato la circolazione, non certo l’aver perso l’autobus!!!) è assolutamente il caso di
    telefonare all’azienda per avvertire del ritardo.
  • Un abbigliamento sobrio e formale, senza estrosità né sciatteria, conforme all’ambiente lavorativo di cui vogliamo far parte, verrà utilizzato per giudicare la nostra serietà ed equilibrio (in quanto l’abito FA il monaco), senza dimenticare il ruolo del linguaggio non verbale, che parla di noi e viene recepito altrettanto istintivamente: postura, sguardo, mimica, atteggiamento, ecc. ma anche l’alito da fumo, masticare chewingum, parlare a voce troppo alta o troppo bassa, non spegnere il telefonino o addirittura rispondere durante il colloquio, rivolgersi dando del tu alla receptionist, presentarsi accompagnati da qualcuno (chiunque sia, ci aspetterà fuori senza dare nell’occhio).
  • Spesso i momenti di attesa sono quelli in cui veniamo osservati e da cui trarranno delle importanti notizie su di noi: l’atteggiamento che dobbiamo avere è quello di persone tranquille, pazienti e gentili.
    Questi elementi dicono che
    siamo in grado di tollerare situazioni stressanti con maturità (al contrario di chi arriva trafelato, gioca nervosamente con le chiavi o con il telefonino, fa delle telefonate, sbuffa perché deve attendere e, situazione ormai “normale” ma valutata come un evidente e comprovato sintomo di dipendenza, smanetta con lo smartphone)
    I momenti di attesa devono servire per
    ritrovare un controllo emotivo, magari prestando attenzione alla respirazione, restando centrati sul “qui ed ora”, approfittando dell’attesa per osservare l’ambiente in cui ci troviamo (al pari nostro, anche l’azienda parla di sè attraverso gli oggetti e l’arredamento, inoltre osservando gli atteggiamenti delle persone che vi lavorano avremo modo di dedurre qual è il clima organizzativo interno e le norme – formali ma soprattutto informali – che l’azienda adotta) e rivedendo – CV alla mano – il nostro percorso formativo e professionale che racconteremo in fase di colloquio.
  • Portiamo con noi una copia del curriculum – in quanto può capitare che non sia immediatamente disponibile al selezionatore, che dobbiamo conoscere in ogni minimo dettaglio per poter discutere assieme eventuali aspetti che il selezionatore volesse approfondire

Passando al colloquio vero e proprio non ritengo che l’atteggiamento da tenere sia diverso se chi ci esamina è l’azienda stessa o una società di ricerca e selezione; nel secondo caso potremmo aspettarci un approccio più “strutturato”, magari con un approccio psicologico (il selezionatore  svolgerà il suo ruolo in maniera più strutturata, magari con l’utilizzo di test psicoattitudinali o di personalità, dinamiche di gruppo, brainstorming o assessment center; vorrà magari valutare la capacità di leadership e di problem-solving; precisiamo che, per legge, devono essere degli Psicologi del lavoro iscritti all’Ordine a condurre questo tipo di selezione e a somministrare i test).

Nel caso di un ruolo che richieda particolari competenze, possono essere necessari più colloqui per arrivare alla scelta del candidato (un primo colloquio con il responsabile del personale o con il direttore e un secondo con il superiore diretto per gli aspetti più legati alla mansione, magari preceduti dal colloquio con il selezionatore nel caso l’azienda sia ricorsa ad un’agenzia di intermediazione esterna) 

In ogni caso iniziamo con un sorriso e una stretta di mano cordiale, presentandoci con nome e cognome (senza titoli!!!) e lasciamo che l’intervistatore dia il VIA con il primo argomento che vuole affrontare, a cui risponderemo in maniera completa e concisa (non è una contraddizione) cercando di dare sempre la motivazione delle scelte fatte e la spiegazione di certi eventi che ci sono accaduti e che hanno influenzato il nostro percorso (ad es. per gli eventuali ritardi sul corso di studio, cambiamenti di lavoro o di residenza, ecc.) 

In fase di colloquio occorre sapersi descrivere e raccontare, valorizzando le proprie caratteristiche e competenze e questo rappresenta il compito più importante

Per proporsi in maniera efficace e realistica occorre conoscersi bene e aver compiuto un percorso di introspezione e valutazione approfondito, e qui ci aiuta il Bilancio di Competenze (segui il Link per approfondimento) dove avremo riflettuto sulle nostre conoscenze, capacità, interessi, attitudini, esperienze, limiti e vincoli personali, valori e credenze, obiettivi e aspirazioni, punti di forza e lacune, e soprattutto, personalità e modi di agire.
Potremo così individuare con precisione le
competenze che possiamo trasferire nella nuova situazione professionale e quali invece dobbiamo ancora acquisire (pianificando così un percorso formativo). In tal modo si acquisisce un’ immagine di sè coerente, completa, realistica e convincente e la consapevolezza raggiunta su noi stessi consentirà di descriverci meglio agli altri.
Non dimentichiamo che durante un colloquio di lavoro
l’oggetto di analisi siamo noi stessi e saperlo affrontare equivale a guadagnarci l’appellativo di persone equilibrate e sicure di sè (che non significa adottare un atteggiamento arrogante e pieno di sè!!).
Dopo questo percorso, alla fatidica domanda “
Mi parli di lei” non ci mancheranno le parole.

Consiglio di simulare un colloquio con qualche amico o familiare, in modo da verificare l’effetto che la nostra presentazione produce prima di entrare in scena (raccomando che sono sufficienti 2 o 3 minuti per tracciare a grandi linee il nostro profilo, avendo l’accortezza di fornire gli spunti su cui poi il selezionatore potrà richiedere un approfondimento. Evitiamo i monologhi teatrali e inutili disquisizioni su eventi passati). 

Considerando che nella fase di colloquio il selezionatore ha il compito di valutare se siamo la persona adatta per quella posizione, ogni sua domanda è finalizzata a conoscere i diversi aspetti che più gli interessano – di solito negli ambiti della nostra formazione, le esperienze pregresse, se il selezionatore è esperto e noi siamo giovani alle prime armi egli vorrà indagare anche le nostre potenzialità e gli aspetti principali della personalità – quindi il modo in cui risponderemo dovrà innanzitutto soddisfare le sue richieste: rispondere con semplici SI o NO verrà interpretato come un atteggiamento reticente o di chi ha qualcosa da nascondere (ricordiamoci che egli vuole verificare delle sue teorie implicite, ci confronta con il profilo di un ipotetico candidato “ideale” e la mancanza di informazioni non lo lascerà soddisfatto) e costringerà il selezionatore a sottoporci ad un interrogatorio estenuante per avere le risposte che necessita.

Non cadiamo neppure nell’errore opposto, e cioè quello di essere troppo prolissi nel fornire una risposta: un breve chiarimento alle domande chiuse, sempre osservando la reazione del nostro interlocutore – anch’egli comunica in modo non verbale – ci confermerà se abbiamo risposto esaurientemente oppure no (ad es. se cambia posizione, distoglie lo sguardo, indietreggia, ecc.) 

Lo scopo è sempre quello di sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda del selezionatore, seguendo il suo schema di ragionamento. Lasciamo che sia lui a condurre il gioco. Esaudite le richieste avremo tutta la sua attenzione quando introdurremo qualche nostro aspetto che riteniamo interessante per quella mansione e a cui il selezionatore potrebbe non aver pensato; cogliamo gli spunti che ci propone (ad es. ci dice che la sua azienda espone in alcune fiere del settore; se noi abbiamo fatto un’esperienza in fiera, anche breve e non così significativa da riportarla nel curriculum, è l’occasione per dirlo, senza interromperlo ma quando sarà nuovamente il nostro turno di parlare). 

Le domande che ci porrà riguarderanno l’età, la formazione, la conoscenza delle lingue e dell’informatica, le esperienze professionali maturate e in quali settori, l’inquadramento e la retribuzione raggiunte, le competenze professionali acquisite e le nostre aspettative.

Nel corso del colloquio il selezionatore cercherà di dedurre altri tipi di informazioni, quelle relative alle cosiddette “competenze trasversali”  o “soft skills”, che ho definito come quelle competenze non espressamente richieste nell’esercizio di un lavoro, ma che consentono di svolgerlo in modo esperto, rilevante, e che fanno la differenza tra i lavoratori: ossia le capacità comunicative, relazionali, di ascolto, di negoziazione, decisionali, organizzative, progettuali, interpretative, di problem solving, di analisi, di adattamento, di autonomia, di lavorare in gruppo, di tolleranza allo stress, ecc. 

Il nostro racconto ci consentirà di evidenziare quanto abbiamo appreso nelle diverse esperienze compiute, come abbiamo colto le diverse opportunità di apprendere nuove competenze, quali sono le motivazioni più profonde che ci spingono a proporci per quel lavoro e quale opinione abbiamo di noi stessi.

Invito i miei lettori a riflettere sulle LIFE SKILLS – 10 competenze per la vita – http://www.lifeskills.it/le-10-life-skills – e a leggere la mia dispensa “EMPOWERMENT” nella sezione Formazione 

Se sapremo adattarci allo stile comunicativo del selezionatore e coglieremo i suoi spunti per raccontarci, vivremo una situazione di dialogo di reciproca conoscenza e non subiremo il classico “interrogatorio” che tanto ci spaventa. Raccomando di non cadere nei 2 tipici errori del candidato: il primo che definisco “mutismo e rassegnazione”, parlare pochissimo, magari per colpa dell’ansia, e assumere un atteggiamento da perdente; il secondo, all’opposto, monopolizzando la conversazione con discorsi logorroici e spesso di nessun interesse per il selezionatore.

Dopo la risposta – che dura al massimo un paio di minuti – lasciamo spazio all’intervistatore per altre domande. E così via. Solo una volta che il selezionatore avrà soddisfatto ogni sua curiosità possiamo chiedere qualcosa noi sull’azienda (questo è uno dei motivi per cui consiglio di informarsi preventivamente sull’impresa, così da avere degli spunti in fase di colloquio e poter seguire meglio eventuali riferimenti che il selezionatore – in questo caso interno all’azienda – farà dell’attività) oppure chiediamo informazioni sulle mansioni che dovrebbe svolgere il candidato; in ogni caso se il nostro interlocutore ci lascia parlare ricordiamoci che si tratta di un colloquio e non di un monologo.

Può accadere che il selezionatore non sia particolarmente affabile e cerchi nel nostro curriculum o nei nostri discorsi delle lacune o delle incongruenze per “smascherarci”. L’unico consiglio è quello di non irrigidirsi mettendoci sulla difensiva (otterremmo l’effetto di confermare le sue ipotesi) e chiarire con molta tranquillità i dubbi sollevati. Evitiamo assolutamente ogni polemica (una R apposta sul nostro curriculum può non voler significare RIVEDERE ma ROMPISCATOLE). Personalmente la considero anche una strategia del selezionatore quella di mettere sotto stress il candidato per osservarne la capacità di tollerare la frustrazione e le modalità di gestione dello stress. Non dimentichiamo che oggi il lavoro è fonte di grande stress (problemi quotidiani, imprevisti sia nelle modalità che nelle relazioni, situazioni sempre nuove da risolvere ecc.) e spesso le difficoltà in azienda riguardano la insufficiente capacità di tenuta dei lavoratori di fronte alle difficoltà.  

Ricordiamoci sempre che ognuno di noi vede il mondo e gli altri attraverso il suo “paio di occhiali”, più o meno distorcenti, in cui idee preconcette, categorie di giudizio e stereotipi sono schemi che ci aiutano nella vita di tutti i giorni e di cui non possiamo fare a meno (è impossibile essere completamente neutrali e “naif” quando incontriamo qualcuno, e affermare di esserlo significa solamente esserne inconsapevoli o ipocriti).

L’atteggiamento migliore che possiamo avere è quello di lasciarci conoscere imparando a controllare le nostre reazioni (soprattutto della postura, della mimica e della voce) ad eventuali provocazioni e sospendere ogni giudizio sull’interlocutore fino al termine dell’incontro.

Consiglio spesso di affrontare un colloquio come se sapessimo già che non avremo quel posto (in questo modo l’ansia di prestazione non ha più grande effetto su di noi) e con l’unico obiettivo di lasciare nel selezionatore un ricordo piacevole di noi come persona.
In altre parole spostando l’obiettivo sull’incontro e l’opportunità di conoscere una persona anziché sul risultato – ottenere quel posto – riusciremo ad essere più spontanei e rilassati, più concentrati su quanto viene detto durante il colloquio e in grado di sintonizzarci sull’interlocutore (livelli elevati di ansia ci impediscono anche di comprendere le domande mentre un atteggiamento rilassato rivela la nostra capacità di gestire lo stress).

Cerchiamo di sostenere molti colloqui, anche quelli in cui non abbiamo alcuna speranza di successo, allo scopo di acquisire quella spontaneità e naturalezza che ci manca. 

Un suggerimento: evitiamo di ricorrere ad “effetti speciali” nel nostro modo di comunicare e di presentarci: utilizziamo un gergo tecnico o termini stranieri solamente se siamo in perfetta sintonia con il nostro interlocutore, invece non fingiamo di aver compreso un concetto quando non è così ma ammettiamo con sincerità che non sappiamo cosa significa quel termine e se può chiarircelo (dimostriamo così umiltà e volontà di apprendere)

Ci sono degli argomenti che possono essere affrontati solo con estrema attenzione, primo fra tutti quello della retribuzione in quanto ci si aspetta che il candidato punti più su elementi di soddisfazione intrinsechi quali la mansione e i compiti assegnati, le possibilità di sviluppo e di carriera, l’ambiente professionale e la collaborazione con i colleghi. Quindi esprimiamo con sincerità ed entusiasmo le nostre aspirazioni e aspettative. Al contrario, il tipo di inquadramento e la retribuzione li affronteremo in un secondo momento quando saremo considerati idonei per quell’azienda e ci verrà fatta una proposta concreta; prima è prematuro e controproducente. 

Ci sono anche argomenti che possono pregiudicare in maniera negativa la nostra candidatura: se nella nostra storia ci sono stati episodi di mobbing, o riteniamo di aver subito ingiustizie, o avevamo rapporti tesi con colleghi o superiori, evitiamo di sfogarci durante il colloquio: questo verrebbe interpretato come un atteggiamento vittimistico, pessimista o, peggio ancora, rabbioso. Inoltre non sappiamo se anche in quell’azienda si sono verificate situazioni di conflitto che verrebbero – magari inspiegabilmente – associate con le nostre.

Vediamo alcune delle domande che possono venir poste durante un colloquio di selezione: 

Che cosa conosce della nostra azienda?
Perché si è candidato / perché ha inviato il suo curriculum? 

Mi parli di lei – Come si descriverebbe – E’ soddisfatto di sé?

Perché ha impiegato così tanti anni per laurearsi?
Perché non ha continuato gli studi? Perché ha scelto questi studi?

Quali sono i suoi punti forza? Quali sono i suoi punti deboli?
Mi racconta un suo insuccesso/ successo?
Quali sono state le sue realizzazioni più importanti?

Come si immagina fra X anni?

Si definisce più una persona di azione o di pensiero?
Preferisce lavorare da solo o in gruppo?
Cosa le piace di più / meno del suo lavoro /dei suoi studi ? 

E’ stato all’estero?
Quali sono i suoi hobby? Cosa fa nel tempo libero?
Qual è l’ultimo libro che ha letto? 

Dal suo curriculum vedo che lei non ha alcuna esperienza in questo ruolo….
Perché dovremmo scegliere lei per questo lavoro?
Qual è l’aspetto che le interessa maggiormente di questo lavoro?

Perché si è interrotto il precedente rapporto di lavoro?
(ad un disoccupato) Cosa sta facendo per trovare lavoro?
Come dovrebbe essere il suo ambiente di lavoro ideale?

Quale dovrebbe essere il suo stipendio?

Vuole aggiungere qualcosa alla fine del colloquio? Ha qualche domanda? 

Il dopo si caratterizzerà da una serie di riflessioni su come si è svolto il colloquio, se saremo soddisfatti alimenteremo le nostre aspettative – e quindi prepariamoci per un eventuale secondo colloquio – mentre, al contrario, se riterremo di non aver dato un’appropriata immagine di noi o di non essere adatti per quella posizione la tendenza è quella di rimuginare in maniera assolutamente inutile e dannosa.

Evitiamo di giudicare il colloquio in termini di “successo” “insuccesso” ma cerchiamo piuttosto di riflettere su quanto possiamo migliorare nel nostro modo di condurre un’intervista di selezione e su quanto abbiamo imparato.

Torniamo a riflettere sul nostro obiettivo : “Ho lasciato di me un ricordo piacevole? 

Lasciamo trascorrere del tempo – almeno 15 giorni – prima di chiamare per avere delle informazioni.
Il mio consiglio è comunque quello di NON CHIAMARE, in quanto rischiamo di apparire ansiosi e insistenti: quando avrà stabilito chi è il miglior candidato sarà l’azienda per prima ad avere interesse a contattarlo.

Personalmente ritengo non sia etico lasciare senza risposta i candidati che hanno dato la loro disponibilità ad un colloquio ma purtroppo questa è la prassi comune, poiché a nessuno piace dare brutte notizie e c’è il timore di dover giustificare la propria scelta, di incorrere in reazioni spiacevoli o, peggio, in ricorsi controproducenti.

Consiglio ai selezionatori di dedicare del tempo per informare personalmente i candidati che hanno incontrato e che non sono stati scelti fornendo loro – se richiesto – un breve feedback dell’incontro (motivando, per quanto possibile, la propria scelta e rispondendo alle eventuali domande poste dai candidati). Questa azione consentirà ai candidati di poter “aggiustare il tiro” e di correggere eventuali comportamenti non efficaci o percezioni erronee.